La concezione sistemica dell’Architettura / R. BUCKMINSTER FULLER
"Perciò mi sono impegnato per il bene di tutta l’umanità, basandomi sul fatto che essa potesse essere felice solo in un mondo in cui il vantaggio totale dell’umanità stava continuamente aumentando. Dissi, cosa può fare un piccolo uomo per realizzare tutto questo, avendo contro di sé la potenza enorme delle grandi società dei grandi stati, le loro armi, il loro denaro... risposi a me stesso, un individuo può prendere delle iniziative senza chiedere il permesso a nessuno".
Richard Buckminister Fuller

Richard Buckminster Fuller (1895-1983) è stato un ingegnere, architetto, matematico, fisico, filosofo, sociologo, biologo, poeta e inventore nonostante non avesse mai terminato gli studi iniziati ad Harvard. Non ha mai approfondito realmente tutti questi campi del sapere ma è comunque riuscito a contribuire direttamente al loro sviluppo sempre in maniera strumentale all’Architettura.
Il filo conduttore che lo ha guidato nella sua lunga carriera è stata sempre la volontà di porsi al servizio dell’umanità per garantirne il miglioramento della qualità della vita. Partendo da questo, analizza il mondo e nota quanto l’industria sia legata alle risorse naturali, senza alternativa alcuna. La sua concezione deriva invece dall’integrazione fra tecnica e natura, al fine di raggiungere l’autosufficienza attraverso un approfondito studio della natura dal punto di vista scientifico.
Dice infatti:”l’Uomo non inventa nulla, scopre principi che sono operativi in natura e spesso trova il modo di generalizzare questi principi e riapplicarli in direzioni sorprendenti. Ma quello che fa l’uomo non è affatto artificiale, la natura lo deve esprimere e se la natura lo permette è naturale”.
Le sue strutture, come si vedrà in seguito, sono caratterizzate dall’abbandono del sistema trilitico (statico) a favore di strutture tensegrali (dinamiche) per assecondare la crescente mobilità dell’individuo moderno. Tutto ciò porta alla definizione di una concezione sistemica dell’architettura che lo distacca di fatto dalla cultura accademica. Questo sistema abbandona la visione per composizione di parti o di elementi per giungere all’Architettura come unità indissolubile, come insieme compiuto, nel quale l’efficacia stessa non è data dalla sommatoria delle parti ma dall’interazione delle stesse. Questa concezione è l’unico momento teorico nella visione fulleriana, sempre impegnata in un fare incessante.

La concezione costruttiva che ne deriva è dunque leggera e in continuo movimento. Alcuni esempi del periodo possono essere: il Bagno Dymaxion di Fuller del 1937, la casa mobile della F.L. Wright Foundation del 1973, la casa mobile del gruppo B.C.D.M.B degli anni ’70 e ancora la proposta di alloggio ampliabile di C. Gaillard dello stesso periodo. Queste costruzioni si sviluppano da un vano servizi centrale dal quale per raddoppiamento, sfasamento, rotazione o addizione si creano nuovi volumi, moltiplicando di fatto il volume originario.

In quest’ottica le costruzioni più significative di Fuller sul piano tecnologico-ecologico sono: la Casa Dymaxion (1927-31) e la Wichita House (1944-45). La Casa Dymaxion cresce su di un nocciolo centrale strutturale contenente i servizi. I due solai sono agganciati mediante cavi al pilastro centrale costruendo una struttura sospesa. In cima al pilastro vi sono delle lenti per captare la luce solare e trasformarla in energia elettrica e termica per l’ACS (acqua calda sanitaria). La copertura è concepita per “far fluire il vento al di sopra della casa”. Il mobilio è incassato nei locali di servizio, regolati dal principio dell’automazione per il raggiungimento dell’equilibrio tra spazio, tecnologia e tipologia. Interessante nella Wichita House non è tanto l’aspetto formale ma piuttosto il fatto che Fuller utilizzi la forma circolare perché più adatta al raggiungimento della performance desiderata: consumo di energia quattro volte inferiore a quello di una casa cubica e ottimizzazione del sistema di riscaldamento e ventilazione. Secondo il Maestro l’energia invisibile interna deve determinare la forma visibile dell’esterno. Come per la Dymaxion, il pilastro centrale serve come condotto di distribuzione dell’aria, della luce e del riscaldamento. Da questi progetti è evidente notare una coscienza ambientale che punta a dare risposte concrete basate fondamentalmente sul principio del vivere ecologico all’insegna dell’autosufficienza.


Una svolta nella sua carriera arriva nel 1954 quando realizza la Dymaxion World Map allo scopo di annullare le distorsioni tipiche delle raffigurazioni delle mappe tradizionali. Questo globo precede quello che diventerà il cardine della sua ricerca: la geometria sinergico-energetica che sfocerà nel Geode. Alla base di questo vi è la scoperta da parte sua che la natura usa in modo continuo la tensione e solo in modo discontinuo la compressione, da qui derivano le strutture presso-tese (integrità strutturale: Tensegrity Structures). Le prime sfere geodetiche vennero quindi strutturate secondo icosaedri che stabiliscono, a fronte di un maggior volume, una minor superficie di rivestimento, il tutto può essere raccolto sotto il motto miesiano less is more. Il tema della copertura assume qui il significato di involucro strutturale caratterizzato da leggerezza ed economicità. Fuller non è un tecnocrate, sa che la tecnologia non è architettura, essa è uno strumento per porre rimedio alle esigenze primarie dell’esistenza umana.
“Non è un fatto occasionale che la natura abbia incapsulato i nostri cervelli, non ci sono uova, noci, pianeti cubici”.
